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Una Biennale per architetti, verrebbe da scrivere: pochissimi, se non del tutto assenti, fly-through e renders spettacolari, così sovrabbondanti nelle passate edizioni da lasciare l’impressione, una volta usciti, di aver visitato una fiera di Real Estate piuttosto che una mostra sullo stato dell’architettura.
Detto questo non è che ci sia da abbandonarsi alla pazza gioia: che un render non faccia buona architettura non comporta che l’assenza di renders garantisca automaticamente qualità in abbondanza.
Già la precedete edizione aveva spostato l’attenzione sull’architettura quale punto di incontro per le, e delle, persone, un’arte(?) al servizio dei bisogni dell’uomo. Se nella Biennale di Sanaa l’uomo è una monade abituata a vivere in spazi ridotti all’osso, quasi monacali, in quella di David Chipperfield c’è il desiderio di condividere, di vivere in comunità o, comunque, preoccuparsi del come fare cosa nell’interesse e in collaborazione con più persone.
Questo non preclude ricerche prettamente formali, come quelle di Zaha Hadid, che riconosce il suo debito a Frei OttoFelix Candela, Heinz Isler, o percorsi autoreferenziali quale quello di Hans Kollhoff, ma è innegabile un tentativo di occuparsi del comune. Al tempo stesso continua a mancare il grande, l’inquadramento, quel che Rem Khoolhaas definiva bigness, che molto c’era nell’edizione di Richard Burdett, forse perché sociologo.
Eppure il quadernetto di visita langue di appunti ed ho scattato pochissime fotografie, il che significa che poche cose hanno colpito la mia attenzione.

Di questa Biennale ricorderò gli studi sulle strutture e coperture che lavorano a forma di Hadid, Oma per la critica sociale, lo spagnolo Fernando Menis per i progetti, l’Olanda di Petra Blaisse, Marieke van den Heuvel, Peter Niessen, Laura van Santen e Rabia Zuberiper con il suo sipario mobile che in un gesto essenziale ci ricorda cosa significhino lo spazio, la sua modellazione dando vita di volta in volta ad uno spazio aperto, chiuso o permeabile; gli Stati Uniti per l’ostinazione con cui propongono un’immagine di sé ancora più a sinistra di quella obamiana malgrado siano una delle nazioni più liberiste al mondo; Israele con la sua ironica messa in evidenza di come gli Stati Uniti abbiano letteralmente colonizzato la propria nazione, un allestimento che probabilmente Giuliano Ferrara considererebbe antisemita tanto da volerlo bombardare; la sistemazione del giardino delle vergini con le finestre e le inquadrature di Alvaro Siza e Souto de Moura sia su Venezia che sul giardino di Piet Oudolf; il Giappone con il racconto del progetto di una (ri)costruzione anche simbolica; il tavolo allestito da Valerio Olgiati con i riferimenti visivi, e non solo, che 41 architetti hanno nella loro mente quando progettano; la libreria di modellini di progetti, 40000hrs, a significare come il lavoro dell’architetto sia un lavoro caparbio, un movimento quasi a pendolo sulle cose, col suo continuo andare, tornare e rivedere, modesto e umile. In questa umiltà, in questo considerare l’architettura come frutto di lavoro duro e metodico, c’è molto dell’architettura di Chipperfield e dei contenuti  di una sua intervista pubblicata in dvd dalla rivista Interni, oramai quattro o cinque anni fa, se non di più. In effetti assai in contro tendenza rispetto agli architetti prime donne dei nostri tempi, così desiderosi di farsi notare ed esser al centro dell’attenzione, da prodigarsi ad avviare qualsiasi polemica o ad infilarsi in qualche amministrazione di un comune medio grande.

Il padiglione Italia di Luca Zevi l’ho praticamente ignorato, appena entrata mi son trovata la faccia porcina del fondatore della Diesel e questo impatto con la volgarità probabilmente non mi deve aver ben disposto per il resto. C’è anche l’Italia riciclata di Michelangelo Pistoletto

Mentre la perla nera la do alla Russia perché è ormai da 20 anni che, sia Biennale Arte che Biennale Architettura, ci si dice che hanno avuto il regime sovietico, quando mi pare che anche adesso non se la cavino proprio da Dio con il regime di Putin; insomma un po’ di problemi dell’oggi, diamine! In seconda battuta perché la loro proposta si riduce ad una sorta di gated community mille firme a poca distanza da Mosca, suddivisa in lotti, ogni lotto un architetto invitato a lasciare la sua impronta; l’esatto contrario di common ground (e peccato che a questo partecipi anche lo studio di Chipperfield). Anche se devo convenire sulla bellezza dell’allestimento: sia quello al piano inferiore che racconta di queste città di epoca sovietica, dove si svolgevano ricerche scientifiche, di cui nessuno conosceva l’esistenza e l’ubicazione, sia quello dedicato al progetto di una nuova città della scienza ove le pareti son tappezzate di codici QR luminosi e si viene dotati di tablet per poter vedere nel dettaglio il progetto corrispondente ad ogni singolo QR. Ma si tratta di una fruizione dell’esposizione non in comune con tutti i visitatori, ognuno fa il proprio percorso, non v’è confronto né condivisione.

Se devo dire dell’idea che mi ha lasciato questa Biennale è quella di uno scenario di macerie in cui si auspica che il ricostruire avvenga assieme: forse perché molti progetti si riferiscono alle aree che in anni recenti son state devastate da eventi naturali, forse perché la nostra è una società di rovine industriali e sociali a cui ci ha condotto un’eccessiva ed acritica fede nell’individualismo. Non stupisce, così, che un tipo ricorrente nei progetti presentati in mostra sia quello della cappella: non grandi chiese celebrative, ma un luogo di preghiera e/o meditazione raccolto e sommesso, in cui si è distinto il lavoro di due irlandesi: O’Donnell+Tuomey.


Un reportage accurato, da cui ho tratto molte delle immagini usate in questo post e di cui ringrazio, si trova qui.

La rivista Abitare pubblica Being Zaha Hadid, numero monografico curato da Marco Sammicheli e Giovanna Silva dedicato alla progettista angloirachena. Come nei precedenti Being Renzo Piano (qui disponibile per iPad) e Being Norman Foster viene raccontanto un anno vissuto a stretto contatto con Zaha Hadid, da Philadelphia a Vienna, dalla sua casa londinese ai cantieri di tutto il mondo.

Zaha Hadid sarà alla presentazione del numero monografico a lei dedicato che si terrà martedì 12 aprile a partire dalle 16 presso il Politecnico di Milano, interverranno anche Stefano Boeri, Mario Piazza, Marco Sammicheli, Giovanna Silva, Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico di Milano, Alessandro Balducci, Neil Barrett, Cini Boeri, Romeo Gigli, Ross Lovegrove, Pier Carlo Palermo, Franco Raggi, Vittorio Sun Qun, Marina Terragni, Lea Vergine, Cino Zucchi moderatrice Maria Giulia Zunino.

Le informazioni qui.